Non nascondere le tue fragilità ma impara ad affrontarle

Spesso nascondere le proprià fragilità è controproducente e non serve a raggiungere lo scopo per cui sono nascoste, imparare a mostrarsi per ciò che si è in ambito familiare e lavorativo può avere più effetti positivi di ciò che si potrebbe pensare, scopriamo perché. 

Se si superano la vergogna e il senso di inadeguatezza nell’ammettere le proprie debolezze si avranno vantaggi nelle relazioni e nella vita professionale.

Ci sono quelli ai colloqui di lavoro sorvolano sui flop e sulle lacune scolastiche. Chi al primo appuntamento mostra solo il profilo migliore, chi nega di commuoversi per un film romantico, chi nasconde di essere ritardatario, disordinato, permaloso. Cercare di mostrarsi sempre al meglio è umano: noi  psicologi la chiamiamo desiderabilità sociale. Lo facciamo di continuo, senza rendercene conto, perché ammettere le proprie debolezze non è facile. Ci si vergogna e si pensa, a torto, che mettersi a nudo non sia conveniente. 

Quello che non viene messo in conto è la possibilità (spesso la certezza) che prima o poi quelle piccole fragilità verranno a galla. L’eventualità che vengano omessi i dettagli più imbarazzanti di sé stessi è così frequente da essere prevista nei questionari di personalità a cui vengono sottoposti i candidati per una posizione lavorativa. Ma prendere consapevolezza dei propri talloni d’Achille grazie alla consulenza di un bravo psicologo e psicoterapeuta, imparare ad accoglierli e a viverli per quello che sono, senza ingigantirli, non solo non compromette le relazioni o la vita professionale, ma le migliora, perché favorisce un rapporto più autentico e onesto con sé stessi.

In quasi tutti i colloqui e nelle interviste di selezione del personale ci sono aspetti del proprio carattere e del proprio vissuto che non vengono esplicitati per imbarazzo o perché ritenuti controproducenti, cioè contrari alle aspettative dell’interlocutore», in pratica si cerca di anticipare, e di interpretare, le richieste dell’altro e si risponde mostrando solo i lati di sé che combaciano con quella aspettativa.

Lo psicologo definisce questa situazione come “bugie bianche” o “menzogne sociali”: vengono usate (a torto) per migliorare i rapporti con gli altri. Poi ci sono le bugie difensive, dette per proteggere sé stessi, ma anche le esagerazioni, le ambiguità, le mezze verità. Tutte modalità che possono essere usate in ambito lavorativo, ma non solo, per dissimulare informazioni “scomode” e acquisire il consenso di chi ci sta di fronte. Questo comportamento risponde a due bisogni: difendere la propria autostima, alimentata dai riscontri favorevoli, ed evitare di “dare in pasto” all’interlocutore un elemento che può essere usato a proprio sfavore.

L’essere umano percepisce l’estraneo come un “pericolo”, raccontare tutto di sé, anche i lati deboli, sarebbe come per un animale, sdraiarsi sulla schiena, a pancia in su, di fronte a un predatore. É la paura che spinge a omettere o mentire, perché non sappiamo come può essere usata una determinata informazione su di noi da parte dell’altro. Per esempio davanti a un esaminatore potremmo non ammettere di essere un pò lenti nel portare a termine le mansioni che ci vengono assegnate, perché temiamo che proprio la rapidità sia un requisito importante per ottenere quell’impiego.

Sono più propensi a coprire le proprie debolezze con bugie ed omissioni gli uomini rispetto alle donne, le persone ansiose, caratterizzate da bassa autostima, paura dell’abbandono e dipendenza dall’altro, ma anche gli estroversi, cioè coloro che si trovano a proprio agio nelle situazioni sociali e amano essere al centro dell’attenzione. Ci sono individui che lo fanno di proposito, in modo conscio e finalizzato a uno scopo, mentre altri non sono abituati a parlare di sé e quindi glissano inconsapevolmente perfino sui propri punti di forza, oltre che, ovviamente, sulle proprie debolezze.

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